
A cura di Francesca Mancini
Non chiamatela semplicemente pizza!
Chi è Francesco Pompetti, l’anticonformista, specialista e innovatore dell’arte bianca in Abruzzo
A portafogli o spicchi, in rivisitazioni gourmet o classica, a forma di cuore, stella, persino grande come una “ruota di carro”. La pizza cambia, si diversifica, si evolve. Ma resta eterna. E si conferma come piatto più amato in Italia (e non solo), per ogni fascia d’età. Non a caso, ogni 17 gennaio, è il “World Pizza Day”, giorno in cui la si festeggia ovunque, con appuntamenti e iniziative.
Perché proprio a Sant’Antonio? “Perché è Sant’Antonio – dice Antonio Pace, fondatore e presidente dell’Associazione verace pizza napoletana, Avpn – I pizzaioli erano soliti lavorare mezza giornata, andavano a mangiare fuori con le famiglie. Poi accendevano il tipico fucarone per Sant’Antuono”.
Francesco e Impastatori Pompetti
Fucarone o no, noi vogliamo festeggiare, con un paio di giorni di ritardo – sorry n.d.a. –, il Santo e tutti i pizzaioli raccontandovi la storia di Francesco Pompetti, che non ancora trentenne fa parlare di sé e delle sue meravigliose creazioni in lungo e in largo.
Figlio d’arte, il giovane cuoco rappresenta la terza generazione di impastatori – perché non di sola pizza si parla qui – che prima a Roseto e poi in Abruzzo hanno avuto il merito di riuscire a cambiare l’idea comune che la pizza sia un semplice disco di pasta ricoperto da più o meno buoni condimenti vari. Quello che oggi è il suo regno, Impastatori Pompetti, fino a qualche anno fa risplendeva sotto un’altra insegna, Tropicaldue e ancora prima Locanda Magnacicc, che è il soprannome di famiglia. Francesco, prima di lui Luigi e ancora prima Marino, tre uomini che hanno scelto per la vita di vivere a contatto con i loro clienti, coccolandoli e viziandoli come pochi altri riescono a fare.

Un lavoro di ricerca e dedizione che solo ragazzi determinati e curiosi di cuore come Francesco possono portare avanti; notte e giorno non hanno differenze se c’è da rinfrescare, fare grammature, piegare o pensare a nuovi impasti, raggiungere nuove consistenze e realizzare altri sogni, mentre immutata resta invece la conduzione marcatamente famigliare dei locali. Oggi in sala a dare supporto alla genialità di Francesco ci sono la gentilezza e competenza del fratello Samuele, che ligio al dovere sgambetta tra i tavoli insieme alla sorella Chiara; i due hanno in comune la capacità di sapere raccontare a menadito le caratteristiche dei capolavori che servono in tavola, in abbinamento a meravigliosi oli extra vergine di oliva che, con le loro particolari caratteristiche, vanno ad arricchire con maggior forza o piacevole delicatezza il piatto e il morso.
La formazione
Ha soli 28 anni Francesco, che nasce come cuoco e che di gavetta ne ha fatta abbastanza, frequentando prima l’Istituto Alberghiero di Giulianova, poi l’Accademia Marchesi per passare alla cucina da Mauro Uliassi, dove conosce Giuliano Pediconi, esperto di panificazione, riconosciuto maestro in tutto il mondo, sostenitore del lievito madre e dei benefici che possa apportare per ottenere prodotti gustosi, fragranti e digeribili grazie alle fermentazioni complesse e prolungate. Un mondo che affascina e attira Francesco sempre più e lo convince a perseguire quella passione per cui, insieme a suo padre, si era già sporcato le mani.
Una scelta che lo ha portato lontano, a conoscere e collaborare con grandi chef del calibro di Mauro Colagreco, e a intensificare amicizie già tessute, come quella con l’altro Mauro, da Senigallia, a cui dedica una pizza in menu e prende ispirazione per altre nuove e interessanti preparazioni, come l’Agnello fuori di Testa, un chiaro tributo al piatto uliassiano, un vero capolavoro.
Un cuoco al servizio di grandi impasti che continua a studiare, provare, modificare nel suo laboratorio, spingendosi ogni volta sempre più oltre rispetto alle prove precedenti. E che dire poi del suo pane o dei dolci a lunga lievitazione? Tutti rigorosamente realizzati con farine selezionate del Molino Mariani, una realtà marchigiana che garantisce la produzione di farine biologiche, naturali e da grani antichi, tra cui Francesco sembra prediligere il grano Mazì, nato da un insieme di oltre 2.000 varietà di grano provenienti da tutto il mondo, una coltura sperimentale lasciata evolvere in modo del tutto spontaneo, senza intervento umano, affidando alle cure di madre natura le caratteristiche del risultato.

Non gioca solo di farine però, perché anche le lievitazioni hanno un gran margine di importanza sul suo lavoro: qui si palleggia tra diverse varianti di lievitazione (lievito madre solido, liquido, fermentazioni spontanee, plancton marino, acqua di pomodoro) e cotture (frittura, padellino – vapore, forno).
Tanti modi che Pompetti trova per giocare con sapori, consistenze, ingredienti e per coniugare le sue due grandi passioni, pizza e cucina. Un’arte che merita l’assaggio stagionale, perché ovviamente il menu cambia, ruota a seconda della disponibilità degli ingredienti, che sono a chilometro buono (per qualità e realizzazione) e a chilometro zero. L’Abruzzo si dimostra essere per lui terra di forte attrazione a cui dedica diverse sue creazioni, così come lo sono la Spagna o il Marocco. Non semplici pizze quelle di Pompetti, ma opere a sé stanti, capolavori compiuti di gusto, equilibrio e delizia, un dono di cui godere a pieno senza nessun rimorso.

La degustazione
Il percorso inizia con un’ottima fetta di pane, alta, spessa, leggera, dalla crosta perfetta che lascia spazio alla mollica fondente, umida e ben alveolata impreziosita da un goccio di olio extra vergine di oliva Rinomato della Tenuta Zuppini, fruttato e intenso.
Apripista perfetto, il pane fa spazio poi alla carrellata di assaggi di pizze mirabolanti, leggere, intense, assolute che una dopo l’altra si susseguono in un avvicendarsi di sapori nuovi e particolari che sollecitano la salivazione e sconvolgono le papille gustative.

È questo che più o meno succede quando si assaggia per la prima volta una delle pizze iconiche di Francesco Pompetti, come la Consistenze di Margherita, un impasto fritto fatto con grano solina e fermentazione di pomodoro, condito con burrata e polvere di pomodoro del piennolo essiccato, un capolavoro che sprofonda nell’umami per poi ritornare a galla con la dolcezza della polvere essiccata del piennolo. Una pizza che sa di Italia, di territorio, di genio, di tecnica, di autenticità. In aggiunta il monocultivar Guglielmi di Peranzana, fruttato e leggero, profumato.
Giù negli abissi marini è stata concepita La danza del tonno: impasto realizzato con plancton, lievito madre e acqua di mare – una base che di solito lo chef usa per arricchire i condimenti di pesce – e poi crudo di tonno rosso Balfegò, penetrante e carnoso, addolcito dalla cipolla caramellata; a completare una cascata a pioggia di Katsuobushi, pesce fermentato essiccato ingrediente fondamentale nella cucina giapponese. A dare la buona spinta il Veneranda 19, un affascinante blend ottenuto da 7 varietà di olive, lavorate tutte separatamente e riunite in un unico olio dall’aroma deciso, complesso, con un buon equilibrio tra amaro e piccante.


Terza pizza, terzo impasto, terza cottura e lievitazione diversi; la Ticket’s è infatti una pizza realizzata al padellino con cottura a vapore e poi ripassata in forno, una doppia cottura che permette all’impasto di diventare alto e soffice e allo stesso tempo avere una croccantezza esterna che richiama il crispy della cotenna soffiata, che pare quasi un popcorn e che spiega subito il motivo del nome scelto per questo autentico capolavoro.
È un attimo che ci si ritrova poi nel Cantabrico, con la quarta pizza in degustazione, l’Alice nel paese delle meraviglie, di nuovo impasto plancton abbinato questa volta a sarde affumicate e pomodoro abruzzese con note piccanti di maionese al wasabi e amare di polvere di nocciolo di oliva, sbalorditiva. Completa un Intenso Guglielmi, monocultivar Coratina dal sapore deciso.


Viaggio in Marocco racconta quel sottile filo d’unione che c’è tra l’Abruzzo, il Marocco e le loro, seppur diverse, tradizioni agropastorali; torna il padellino ripieno questa volta di arrosticini di pecora esaltati dall’affumicatura dello yogurt di capra e dalle spezie tajin, olive taggiasche e pecorino scannese del grande Gregorio Rotolo. Ben si addicono le sfumature dell’olio Monaco biologico, monovarietale Tortiglione.
Spiazzante e contemplativa, l’esperienza si chiude con una pizza ispirata ad un piatto cult di Mauro Uliassi, Agnello fuori di Testa, una pizza al padellino che richiama anche un po’ i sapori del piatto pasquale abruzzese per eccellenza, agnello cacio e ovo. Una doppia cottura per l’impasto che viene poi farcito con testa di agnello, succulenta e fondente, formaggio di capra e olio all’alloro affumicato, una delizia per il cuore e per il palato.


I dolci, i suoi grandi lievitati, vengono serviti a fine pasto per tutto l’anno, un buon motivo per provare anche fuori stagione le varianti dei panettoni e delle colombe, oppure la pizza dolce, ispirata a una delle torte più famose d’Abruzzo, riproposta con una dall’impasto dolce con l’alchermes, condito con cremoso al cioccolato e crema pasticcera con mandorle tostate.
Chissà cosa ci riserverà per il futuro prossimo il nostro giovane amico, lanciato sempre più nel mondo delle fermentazioni spontanee. Quel che è certo è che in poco tempo Francesco Pompetti, è riuscito in Abruzzo a sdoganare qualsiasi idea retrograda abbarbicata ancora al concetto pizza, il cibo popolare per eccellenza che nella sua prima accezione positiva, ha fatto grandi tanti piccini, soprattutto in momenti storici di ristrettezze economiche. E se proprio doveste continuare a pensare alla pizza come un disco fatelo, ma volante, quello su cui salire per scoprire nuove realtà e mondi ancora inesplorati.
Bravo Francesco, brava la famiglia Pompetti!
Info:
Impastatori Pompetti
Via G. Marconi, 21 – Roseto degli Abruzzi (TE)
(+39) 085 8941479
info@tropicaldue.it
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