Il racconto del Trebbiano d’Abruzzo di Faraone

Di Francesca Mancini

Il racconto del Trebbiano d’Abruzzo di Faraone

A spasso nel tempo tra i grandi bianchi di Giovanni e Federico, tra passato e futuro, alla scoperta di un vino ancora non del tutto compreso.

Il ricordo di Giovanni Faraone

Il suo spirito è ancora lì, in cantina, tra le sue bottiglie. L’anima di Giovanni Faraone, storico proprietario e uomo geniale dell’omonima azienda agricola di Giulianova (Te), è ancora tutta lì, libera dalle vesti terrene, di poter correre tra i suoi filari e accarezzarli danzando insieme alla brezza che sale dal mare. Nino, è lì, seduto nel suo angolino dietro quel bancone che ha costruito ancor prima della cantina (la sua casa era sempre aperta), ad accogliere chi si ferma per un saluto o una serata di chiacchiere e amicizia. Un uomo visionario, pioniere del vin de garage ante litteram, il primo in Abruzzo nel 1983 a realizzare un metodo classico di sola passerina; il primo a prendere contatto con il Movimento Turismo del Vino quando in regione non c’erano ancora i riferimenti, uno dei fondatori delle Colline Teramane Docg e tra i primi a realizzare un vino liquoroso di Montepulciano surmaturato in pianta.

Una figura mitica per tanti altri viticoltori che a lui si sono ispirati, e l’occasione per ricordarla è la presentazione alla stampa della nuova sala didattica, un ambiente unico, caldo, ospitale, come di buon uso in casa Faraone, con un’intensa verticale di cinque annate di Trebbiano d’Abruzzo delle linee Le Vigne e Riserva Santa Maria dell’Arco, un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo, emozionante, appassionante, spiazzante, organizzato con il supporto della delegazione AIS di Teramo. Alla guida del gruppo i sommelier AIS Massimo Iafrate e Paolo Tamagnini, che ricordando il patron, hanno ripercorso annata dopo annata l’evoluzione di un vino che per troppo tempo in Abruzzo è stato snobbato, portato in seconda linea rispetto ai più piacioni Pecorino e Passerina; un vino complesso che bisogna conoscere a fondo e studiare per poterne capire le particolari evoluzioni che è in grado di compiere durante la sua vita. Una pozione che può attraversare momenti di oscurantismo e tornare ad esplodere con un’intensità che non tutti sono ancora in grado di conoscere e riconoscere.

Il Trebbiano Faraone, uno stile di famiglia

Una ricchezza inesplorata quella del Trebbiano su cui Giovanni Faraone invece ha voluto puntare investendo tutte le sue forze, nuotando a volte controcorrente e facendo della sua azienda un crocevia, un punto da cui partire per intraprendere tante nuove strade non calpestate, e le cinque annate prese in osservazione per la trasversale enoica sono la dimostrazione lampante del peso che Nino ha deciso di portarsi sulle spalle, della responsabilità paterna di cui si è fatto carico per la rivalutazione del Trebbiano e la diffusione della sua conoscenza.

Il Trebbiano è un vino che va ascoltato” – commentano Iafrate e Tamagnini – “perché è nella stessa solitudine che fa uscire fuori la sua voce, la sua grinta, la sua straordinaria versatilità che pian piano, nel tempo, si manifesta. Apparentemente imperfetto, può essere un vino di grande semplicità e allo stesso tempo di una inconsueta complessità, che oggi andremo a scoprire con le cinque annate che Federico ha voluto condividere con noi qui presenti

Quella della famiglia Faraone è una storia che inizia nel 1916, quando il signor Giovanni rientra a Giulianova da New York; ad avviare l’attività però ci ha pensato poi Alfonso, il figlio, che dopo aver impiantato vigneti (1930) di passerina, sangiovese e montepulciano, festeggia l’arrivo di Giovanni nel 1945, con una bottiglia millesimata di vino cotto. La commercializzazione del vino sfuso nel 1970 porta alla celebrazione della prima bottiglia di Montepulciano d’Abruzzo e nel 1973 di Trebbiano Faraone. Da lì inizia la grande sfida di Nino, che riesce a coronare un suo sogno, ovvero ottenere la prima autorizzazione in Abruzzo alla produzione di spumanti metodo classico. È il 1983 e da quel momento il tempo vola fino ai primi anni del muovo millennio, quando arrivano nuovi vigneti e il riconoscimento, nel 2003, della prima DOCG regionale delle Colline Teramane.

Mio padre era un autodidatta – interviene emozionato Federico Faraone prima di dare inizio alla degustazione – ha investito tutta la sua vita nello studio del suo Trebbiano; amava i suoi bianchi, a volte perfetti, altre volte no, ma credeva nel suo progetto. Non faceva altro che ripetere che lui il vino lo faceva così perché così sapeva farlo; il suo vino è sempre stato lo specchio della sua personalità. Io, a differenza sua, ho avuto la possibilità di andare a studiare fuori e non a caso ho scelto il Friuli, dove ho conosciuto mia moglie, perché lì hanno la conoscenza giusta che a me serviva per approcciare ai nostri vini, alla filosofia di mio padre che era in sostanza l’ascolto della terra, della natura e del vino in cantina. Oggi apriremo la degustazione con un Trebbiano 2020, la mia prima annata in solitaria; sono tornato qui a casa nel 2014, ma fin quando c’è stato mio padre, il vino l’ho lasciato fare a lui supportandolo forse con una consapevolezza tecnica diversa, matura, ma pur sempre rispettosa del suo fare

La trasversale enoica

Cinque le annate, 2020, 2017, 2012, 2006, 1997 relative alla linea Le Vigne e alla Riserva Santa Maria dell’Arco. Le prime quattro della linea Le Vigne sono il risultato di un’uva che cresce a 150 metri sul livello del mare, su filari; il 1997, invece viene dalle vigne vecchie a pergola posizionate su un terreno molto più argilloso rispetto al primo. È il caso di dire che il fil blanc che cuce tra loro i vini in degustazione, oltre al colore dorato luminoso tipico del Trebbiano Faraone, è l’eleganza di espressione in ogni singolo assaggio.

 

Il 2020 è il risultato di un’annata equilibrata, con un’estate fresca fino a fine luglio. La vendemmia è avvenuta a fine settembre e la vinificazione è stata eseguita in ossido/riduzione con macerazione a freddo, solo da mosto fiore. Elegante e fresco, il vino conquista con le sue note di susina gialla prima il naso e poi la bocca, investita subito dopo dalle persistenti sfumature saline. È questo un vino caldo, che riscalda l’anima, scorrevole e bevibile.

Stesse note, ma più intense, si ritrovano nel 2017, che ha visto invece un inverno molto rigido e gelate fino ad aprile, con un’estate molto calda e una vendemmia a metà settembre. Vinificato in ossido/riduzione con macerazione a freddo e pressatura soffice, al naso si presenta con un’opulenza sorprendente di frutta matura su cui domina la pesca. In bocca è grasso e acido, un vino gastronomico, adatto ad essere associato anche a carni rosse importanti.

 

Il 2012 si fa trovare chiuso in sé stesso; è un vino che sta attraversando una fase riflessiva e che non svela quale potrebbe essere il suo futuro. Privo di marcatori di riferimento, si presenta criptico, di poche parole, timido, introverso. Interpretarlo è difficile per la sua austerità, ma è chiaro che si tratta di un vino silentemente elegante, che potrebbe regalare tra qualche anno grandi soddisfazioni. Il 2006 è invece il vino del cuore: elegante, equilibrato, che ricorda l’incenso, la credenza di casa, l’arredo d’antan; un vino che vive in questo momento un particolare stato di grazia, che colloquia con il degustatore in maniera schietta, diretta, riempiendo di gusto la bocca, con la sua profonda salinità.

 

L’attenzione e la curiosità di tutti i presenti in sala sono catalizzate naturalmente dal 1997, capace ancora di raccontare tanti aneddoti nonostante i 24 anni passati in cantina. Il vino non fa difficoltà a mettersi a nudo, mostrando subito le sue nuances morbide e le sue note olfattive che ricordano il sale, il fungo, il tartufo bianco e ancora il distillato, il whiskey. È un vino che in maniera distonica tra olfatto e gusto racconta la strada che ha percorso, che parla di Giovanni e di quella vendemmia di ottobre nei vigneti più vecchi. Avvolgente prima con il profumo di albicocca matura e poi pungente subito, con quell’acidità che arriva a sconvolgere tutti gli equilibri.

 

Cinque bottiglie per cinque annate diverse che racchiudono il significato intrinseco della vita, che Federico, ancora, affronta con pionieristica determinazione e lungimiranza, alla ricerca di quella perfezione imperfetta, firma distintiva di Giovanni e dei vini Faraone.

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