Vita da Coach

Vita da Coach:
Abbiamo intervistato Lorenzo Alessio, coach del Team Italia qualificato alla finale mondiale del Bocuse d’Or di Lione 2021 per capire in cosa verte il suo lavoro e quali responsabilità ha la sua figura all’interno di una competizione così importante.

Il 16 ottobre scorso a Tallin in Estonia il team Italia del Bocuse d’Or Italy Academy si è qualificata per la finale mondiale del concorso culinario più importante al mondo, il Bocuse d’Or, che nel 2021 si terrà come sempre a Lione, in Francia.

Sul podio sono salite le squadre di Norvegia, Danimarca e Svezia ma per il team guidato da Alessandro Bergamo, sous chef al ristorante Cracco di Milano e finalista della regione Italia e Sud Est Europa di S. pellegrino Young Chef 2020, è un grandissimo risultato ottenuto. Insieme a lui due compagni di avventura imprescindibili, il commis Francesco Tanese, anche lui giovanissimo e il coach classe di ferro Lorenzo Alessio, chef della Federazione Italiana Cuochi.

 

Sotto l’egida del presidente della Bocuse d’Or Italy Academy, Enrico Crippa (Piazza Duomo***, Alba) e del direttore Luciano Tona, i ragazzi si sono allenati duramente nei mesi precedenti il concorso, per assicurarsi l’importantissima finale francese. Il plauso quest’anno va anche alla Federazione Italiana Cuochi che capitanata da Rocco Pozzulo ha messo a disposizione dei ragazzi tutto il suo know how sul mondo delle gare culinarie, sulle competizioni nazionali e internazionali.

 

In 5 ore e 35 minuti il team Italia ha dovuto presentare alla giuria del Bocuse d’Or Europe un vassoio e un piatto il cui tema principale erano le quaglie, l’uovo di quaglia e due contorni vegetali, mentre per il piatto è stato il pesce gatto con tre contorni vegetali.

 

Le postazioni di ogni squadra partecipante si chiamano box al cui interno giocano in prima battuta lo chef e il commis, mentre il coach appena fuori dal ring, osserva con perizia ogni singolo passaggio dei suoi compagni di squadra, tenendo il passo e cronometrando ogni singola azione.

 

Così Lorenzo Alessio, che nella vita è uno chef a tempo pieno, ha deciso, prima con la Federazione Italiana Cuochi e con la Nazionale Italiana Cuochi di diventare e specializzarsi nel coaching. Proprio per questo motivo e per capire qual è davvero il compito di un allenatore di una squadra di cuochi, abbiamo deciso di fargli due domande a tal proposito e su come pensa di affrontare la prossima importantissima sfida che li aspetta a Lione.

In cucina sono partito come lavapiatti, ma questa è un’altra storia, magari la eviscereremo in un’altra occasione. Non so perché, mi è sempre piaciuto aiutare le persone a migliorarsi, accompagnandole al raggiungimento dei loro obbiettivi e posso dire che non dedicherei a me stesso il tempo che dedico agli altri, è sempre stato così e chi mi conosce bene lo sa.

Nasce dal voler essere altruisti, dunque, la missione di Lorenzo, che promettendosi di fare il meglio per allenare e migliorare gli altri, è cresciuto e diventato grande anche grazie al supporto che riesce a trarre dai suoi ragazzi, dalla loro personalità.

“Io ho iniziato in cucina come lavapiatti, ma partendo da qui la storia rischia di farsi davvero lunga. La mia prima volta è stata quando da commis inquieto, perché la mia indole si stava già manifestando al mondo, ho supportato Gianluca Gorini, che chiamo ancora oggi il Boss e stessa cosa fa lui con me. Eravamo giovanissimi, io anche meno esperto di lui, ed entrambi avevamo iniziato a farci strada; oggi Gianluca è un vero e proprio fuoriclasse, gioca il campionato degli extraterrestri a mio modo di vedere le cose, ma quando gareggiavamo insieme il mio obiettivo era quello di creare le condizioni favorevoli intorno a lui perché potesse esprimere al meglio le sue potenzialità durante la gara. Quella era la finale del centro italia Chef Emergente dove arrivammo primi e ricordo ancora la nostra emozione; quel giorno per me è stato l’inizio di una lunga serie di riconoscimenti. Il calcio, che ho dovuto lasciare per via di un infortunio, mi ha trasmesso il senso del gioco di squadra, e forse il vuoto che ha lasciato in me mi ha spinto a prendere parte alle maggior parte delle competizioni culinarie nazionali e internazionali sia come concorrente che come coach, anche se adesso il mio desiderio di mettermi in competizione si sta affievolendo, negli anni. Ho accettato questa ennesima sfida, quella del Bocuse, perché non potevo dire di no, a me stesso e agli altri”.

Cos’è significato per te assumere il ruolo di coach per una competizione così importante come il bocuse d’or?

“Io non mi crogiolo sui risultati che ottengo, anzi, ho accettato questo ruolo perché mi sembrava potesse essere il giusto coronamento di un percorso, il mio, così impegnativo e lungo. Ho un forte senso del dovere nei confronti delle persone che mi hanno scelto come coach per il Team Italia Bocuse d’Or”.

Qual è il lavoro del coach nell’aspetto teorico e nella pratica e quanto pesa la responsabilità del suo lavoro sul risultato della squadra?

“Cercherò di essere breve dandovi dei punti che fanno parte del mio modo di essere un Coach, ognuno ha i suoi modi e metodi posso provare a farvi capire i miei. Per prima cosa il coach è colui che pianifica una strategia con rigore e si assicura che venga rispettata, e per poterlo fare deve avere una certa esperienza alle spalle, che gli permetta di saper evitare gli scogli che si presentano durante il percorso di allenamento. Un buon coach deve avere una buona dose di autocontrollo per permettersi di imporre al Team un piano di lavoro, un acuto senso di osservazione e di analisi per determinare i bisogni dei propri allievi, e una grande intuizione per anticipare ciò che provano. Deve avere un’immensa fiducia in sé per trasmettere la forza necessaria a compiere un progetto che delle volte potrebbe sembrare insensato. Il lavoro del coach non è molto distante da quello di uno chef in effetti, forse un po’ più complesso, perché deve pianificare tutto, in base anche alle capacità di chi si trova ad allenare.

Per di più il coach fa da mediatore tra il Team e il direttivo e deve assicurarsi di creare le condizioni migliori per esaltare le qualità degli allievi mantenendo sempre aperto il dialogo con i dirigenti che a volte possono avere esigenze e bisogni diversi”. È un lavoro quindi che non si basa solo sulla tecnica di allenamento, ma anche sull’empatia che il coach riesce a stabilire con i ragazzi che si troveranno a vivere l’esperienza della gara di li a qualche mese; formatore e psicologo allo stesso tempo che non deve lasciare spazio alle proprie emozioni perché le responsabilità sono tante e lo spazio agli errori è pari a zero. Una figura importante quella del coach che forse qui in Italia non siamo ancora abituati a considerare tale, mentre per i paesi nordici, quelli che continuano a vincere concorso dopo concorso, ha la sua classe di merito.”

Com’è stato lavorare con Alessandro Bergamo e Francesco Tanese, come hai capito su cosa puntare maggiormente con loro?

“La sinergia esige una mente vuota, infatti non ci conoscevamo, credo sia stato meglio così, ma dopo il primo incontro per la selezione italiana sembrava fossimo colleghi da sempre. È stata una gran bella esperienza, io e Filippo Crisci (vice coach) ci siamo divertiti, a livello professionale è stato più che costruttivo. Alessandro indubbiamente ha un potenziale molto interessante, quando è in forma tira fuori dei gusti impressionanti ed è uno spettacolo vederlo cucinare. Insieme a Filippo abbiamo lavorato sul metodo che poi è circa il 90% di una competizione, senza questo il talento non emerge ed il nostro compito a mio parere è proprio quello, creare le condizioni per far emergere il talento di ogni singolo concorrente. Con Bergamo e Tanese siamo partiti da zero ed è stato un po’come tornare a scuola, ma sono stati due alunni esemplari. Alessandro è entrato di diritto nella classifica degli Chef più umili che abbia mai incontrato, è intelligente e sa quello che vuole, un esempio per il giovane Francesco.

Insieme a Filippo abbiamo trasferito loro le nostre conoscenze a livello di gara, li abbiamo divisi per un po’ ed abbiamo creato due percorsi diversi: con Francesco siamo partiti da un foglio bianco ed è stato più semplice fargli assimilare dei concetti, sapevamo di dover partire dalle basi con lui, vista la sua giovane età. Alessandro ricopre già un ruolo importante per lavoro, è il sous chef di Cracco, ma proprio per questo abbiamo dovuto modificare il suo modo di impostare le ricette, perché cucinare in un ristorante è completamente diverso dal cucinare in una competizione mondiale. Abbiamo costruito un percorso che lo facesse eccellere in ciò che già sa fare molto bene, stare in cucina. Alla finale europea di Tallin ci siamo classificati decimi, un ottimo risultato se consideriamo che i ragazzi hanno avuto solo due mesi per allenarsi, ovviamente per via della pandemia, e in così poco tempo abbiamo preso comunque un voto molto alto, un risultato davvero difficile da raggiungere”.

Come ti preparerai a vivere gli allenamenti per la finale francese – hai già in mente cosa andare a correggere, cosa perfezionare per la prossima gara?

“Siamo tutti consapevoli del periodo storico che stiamo vivendo. Personalmente sono un pianificatore, ma ho dovuto modificare anch’io il mio modo di affrontare il futuro quindi mi sto adattando ad affrontare le cose giorno per giorno. Sicuramente in questo periodo di stand by, faremo in modo che i ragazzi possano accrescere ancora di più la loro cultura culinaria e siccome abbiamo la grande fortuna di avere un Presidente come Enrico Crippa, crediamo insieme al Direttore dell’Accademia Bocuse d’Or Luciano Tona che qualche settimana a stretto contatto con Enrico possa solo che far bene al Team. Quindi al momento ripartiamo così il resto è tutto in fase di programmazione”.

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