
A cura di Francesca Mancini
QUANT’È BUONA LA PIZZA COI FICHI?
Ce lo raccontano lo chef Enrico Mazzaroni e la cara, vecchia, Befana!
Quante filastrocche, stornelli, proverbi e modi di dire esistono sulla befana? Tanti, tramandati nel corso del tempo e legati alla festa del 6 gennaio, l’ultima del periodo natalizio, che, porta con sé oltra alle dolci sorprese e al carico di significati e simbologie, ammettiamolo, anche un po’ di malinconia.
Delle origini della Befana tante sono le storie che si conoscono, ma qualunque sia la verità quel che è certo è che il suo nome non è altro che una traslitterazione di Epifania – manifestazione in greco – e che la sua figura è senza dubbio legata alla tradizione italiana. Nel Lazio del XV secolo, infatti, così veniva definito un fantoccio che si esponeva fuori dalle case durante la notte dell’Epifania; nell’immaginario collettivo la Befana era una donna dal carattere burbero, che stava a rappresentare l’anno appena passato, pronta a sacrificarsi per far rinascere un nuovo periodo di prosperità. Una figura che nel tempo ha cambiato più volte aspetto, fino a diventare una sorta di nonnina che, di casa in casa, passa a lasciare i suoi doni nelle calze dei bambini.
Anche sull’origine di queste ultime ci sono diverse teorie a riguardo, una prende spunto da una leggenda secondo la quale Numa Pompilio, uno dei sette re di Roma, avesse l’abitudine di appendere durante il solstizio d’inverno una calza in una grotta per ricevere doni da una ninfa. Si tratta di un’ipotesi, certo, ma quel che conta è che dopo secoli la Befana continua ad essere attesa da tutti a prescindere dall’età e bontà d’animo.
Di piatti legati a questa festività se ne contano tanti in tutte le regioni italiane, in Toscana, ad esempio, si preparano i cavallucci di Siena, con acqua, zucchero, miele, canditi, anice, noci e lievito, in Abruzzo i tozzetti, con miele, farina, mandorle, cacao, pepe nero e bucce d’arancia e in Liguria gli Anicini. E nelle Marche? Sui Monti Sibillini, a Montemonaco per l’esattezza, c’è una tradizione che ancora viene rinnovata dai pochi abitanti del paese, quella della pizza coi fichi, preparata giorni prima per poter essere poi tagliata e rifilata nelle calze dei bambini nella notte tra il 5 e il 6 gennaio. Ne è testimone lo chef Enrico Mazzaroni che insieme a sua madre Anna, si diverte a preparare il dolce pasticcio per il giorno dell’Epifania, una tradizione di famiglia che da generazioni rallegra animi e stomaci di grandi e piccini.


Enrico Mazzaroni è oggi un cuoco professionista che ha scelto di vivere nella sua Montemonaco, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, un piccolo comune di poco più di 500 anime, dov’è alla guida del suo ristorante Il Tiglio. Una scelta coraggiosa che lo ha portato ad aggrapparsi alla vita, alle sue radici, ai suoi luoghi e a volerci tornare anche dopo quel devastante terremoto che ha cancellato tutto e che lo ha portato per un breve periodo a vivere sul mare a Porto Recanati.
Si chiama pizza per via della forma rotonda ma si legge pane, ad occhi meno esperti potrebbe sembrare il Bostrengo o Bustrengo, altro dolce tipico marchigiano a base di riso o cereali, fichi e frutta secca, ma la pizza coi fichi di mamma Anna è per lo chef Mazzaroni tutt’altra storia, un tuffo nei ricordi della sua infanzia, di quando si iniziava in estate a pensare alla sua preparazione, ai fichi da dover seccare, da dover stipare per l’inverno e per le grandi feste.

Mamma Anna
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