Nuovo DPCM e la crisi della ristorazione italiana

DPCM: le reazioni di cuochi e ristoratori al nuovo decreto parlamentare che mette in ginocchio il comparto enogastronomico italiano

“Le attività dei servizi di ristorazione, quindi bar, pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie sono consentite dalle 5 del mattino fino alle 18 del pomeriggio. Il consumo è consentito per un massimo di quattro clienti per ogni tavolo, salvo che siano tutti conviventi. Dopo le 18 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico. Le attività dei servizi di ristorazione saranno consentite dalle 5 di mattina. I ristoranti rimarranno aperti la domenica e nei giorni festivi. Dalle 18 alle 24 è permessa la ristorazione con consegna a domicilio, così come la ristorazione con asporto con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze”.

Queste le linee generali del nuovo DPCM che il Presidente Conte ha firmato ieri 25 ottobre 2020, un decreto che chiude nuovamente una parte dell’Italia lavoratrice e la rimanda a data da destinarsi, forse fino al 24 novembre, ma tanti italiani sono ormai consapevoli che questa storia andrà avanti fino a quando non ci sarà la luce di un vaccino.

 

 

A detta degli scienziati l’agognato antidoto non sarà nelle mani dei comuni mortali prima della prossima primavera, ma fino a quel giorno cosa accadrà?

Forse si conteranno i sopravvissuti, non alla pandemia, ma alla povertà, perché ieri di nuovo è stato emanato un decreto che mette in ginocchio per l’ennesima volta tutto il comparto enogastronomico italiano, blocca cinema e teatri e chiude palestre e piscine nel nome dell’irresponsabilità di alcuni e non di tutti. Eppur s’è fatto di tutta l’erba un fascio e chi si ritrova, come i ristoratori, a doversi reinventare un’altra volta per affrontare il futuro che verrà pieno di punti interrogativi e dubbi neri, è già stremato dalle mille fatiche inutili precedenti.

 

 

Ormai regna il caos, il disordine della materia sta portando al disorientamento tumultuoso, ad una confusione senza uguali che rischia gravemente di danneggiare definitivamente il bel paese. Gli interrogativi sono tanti, ma perché a pagare gli errori fatti in un’estate ballerina sono sempre le stesse categorie? Sono davvero i ristoranti e le palestre la causa della risalita dei contagi? Davvero chiudere i ristoranti alle 18 riuscirà a far calare la curva?

Non c’è certezza di nulla, se non sgomento a paura, partiti in vantaggio dal lockdown durato fino a giugno, per ritrovarsi come prima, peggio di prima. E si perché intanto le cose sono andate avanti, le aziende, i ristoranti, i locali tutti si sono adeguati alle nuove norme, hanno investito, hanno ripreso a pagare le tasse, gli affitti, i fornitori, ma qualcosa è andato storto, tutto è tornato esattamente a com’era qualche mese fa. Ieri è arrivato il secondo giorno del giudizio che chiama di nuovo a scongiurare la catastrofe annunciata, a dover fare i conti con il nulla, sospesi in qualcosa che non c’è.

 

Tanti i messaggi che in queste ore si stanno susseguendo sulle pagine social di cuochi e ristoratori italiani che impotenti e increduli esprimono il loro stato d’animo, un modo per far sentire la propria voce, raccogliere consensi, trovare strategie, combattere, reinventarsi e non lasciarsi sopraffare troppo dall’angoscia, dal dolore e dal rancore.

“Non voglio scrivere altri cartelli” è stato il primo grido di Niko Romito, tre stelle Michelin al ristorante Reale di Castel Di Sangro (Aq), e non l’ha fatto, ma proprio ieri, sulle sue pagine social, ha fatto circolare il suo pensiero amareggiato e indignato dal nuovo DPCM che lascia un contentino ai cuochi, ristoratori e imprenditori, senza però rassicurarli di un ristoro: “Finito il turno di pranzo – ha scritto Romito – Credo che tanti miei colleghi oggi si siano fermati e abbiamo posato il loro sguardo, come me, un attimo in più sui volti dei propri dipendenti, dei propri collaboratori. Un misto di rabbia, frustrazione e paura mi ha colto pensando al loro e al mio futuro mentre li vedevo intenti a pulire e far splendere la cucina, per renderla pronta come sempre per il turno della cena. Quella che sarà l’ultima cena. Sì perché quella di questa sera, domenica 26 ottobre 2020, sarà per molti ristoranti in Italia probabilmente davvero l‘ultima. Tanti di noi non avranno la forza di reggere alla scelta del governo di far chiudere bar e ristoranti alle 18 e di costringere un intero settore a rinunciare per un periodo di tempo probabilmente indeterminato a ben più del 50% del proprio fatturato. Non sarà sufficiente per molti di noi il “cospicuo sostegno” promesso dal governo per poter affrontare questa seconda traversata nel deserto nel giro di neanche otto mesi. La ristorazione italiana con questa decisione subirà un colpo letale.

Tanti amici, ma anche ristoratori che non conosco in queste ore stanno valutando il da farsi: restare aperti per un solo turno e decidere come gestire il carico di lavoro fra i dipendenti o chiudere? Dopo la fine del lockdown la gran parte degli imprenditori del nostro settore ha riaperto investendo in termini di procedure, protocolli e strumentazioni per garantire ai propri clienti un’esperienza in piena sicurezza. Allo stesso modo abbiamo fatto per i nostri dipendenti: test settimanali di controllo, precauzioni, massima attenzione nella vita quotidiana fuori dal luogo di lavoro. Tutto questo non è stato sufficiente per instillare nei decisori pubblici l’idea che il nostro settore potesse garantire standard di sicurezza adeguati. I bar e i ristoranti scontano il pregiudizio di essere luoghi ad alto rischio di contagio. Non lo sono le fabbriche o altri luoghi che potranno continuare ad operare per sostenere l’economia del Paese. Noi no. Non voglio criticare la decisione del governo, comprendo che il momento non sia facile e che le scelte da prendere possano produrre scontento e incomprensione. Non voglio sostenere che forse era meglio chiudere tutto un’altra volta, perché così appare una scelta parziale a punitiva solo per alcune categorie. Sento solo il dovere di condividere l’amarezza di questo momento perché tanti colleghi vedono in noi chef stellati un punto di riferimento, un modello, a volte una fonte di ispirazione.

C’è rammarico, certo. Ma allo stesso tempo cresce il desiderio di fare la nostra parte di cittadini e imprenditori, la nostra parte di membri della comunità.

Io lo farò al meglio delle mie possibilità, come sempre fatto in questi vent’anni di attività insieme a mia sorella Cristiana. Non sarà semplice, ma non è il momento di cedere allo sconforto.

I nostri ristoranti resteranno aperti rispettando le indicazioni del decreto del governo.

Continueremo ad accogliere in sicurezza i nostri clienti e tutti coloro che per necessità o piacere ci verranno a trovare”.

“La nostra è una categoria fragile – ha dichiarato Moreno Cedroni, due stelle Michelin al ristorante La Madonnina del Pescatore (Marzocca) – Spero di non dover vedere ancora tanti colleghi mollare e chiudere il proprio ristorante. Abbiamo bisogno di sostegno e tutela da parte dello stato e soprattutto abbiamo bisogno di interventi immediati. Noi ristoratori, imprenditori di noi stessi, durante la prima ondata ci siamo impegnati al massimo per andare avanti con tutte le nostre energie, a nostre spese, e siamo consapevoli che solo questo potrà salvarci di nuovo, soprattutto dalle crisi mentali che potremmo avere. Non dobbiamo chiuderci e non dobbiamo arrenderci”.

“Sono senza parole – dice Ciccio Sultano, chef stellato del ristorante Duomo di Ragusa, su Instagram – Di fronte alla prospettiva che dovremo chiudere alle 18. Tanto vale aprire solo per il pranzo o non aprire proprio. È inaccettabile che, invece di assumerci tutti una fetta di responsabilità si decida per la legge del taglione. Posso dire che dal momento della riapertura a oggi, il mio ristorante come chiunque si sia attenuto alle regole e le abbia fatte rispettare, ha rappresentato una sorta di presidio medico. Nel mare magnum della ristorazione le situazioni e i comportamenti non sono sempre gli stessi. Fare di tutta l’erba un fascio, di solito, denota un fondo di paura o di incomprensione della realtà”.

Sono forti e penetranti le parole di Sarah Cicolini, la chef di Santo Palato (Roma) che così commenta su Instagram il nuovo DPCM: “Benvenuti nel fantastico mondo dei ristoratori. Questo video (girato quando alla riapertura era stato concesso ai ristoratori di poter utilizzare lo spazio esterno ai locali per i tavoli) era stato postato a giugno perché avevo fatto un ulteriore sforzo mettendo i tavoli fuori, nel “falso dehors” del mio ristorante. Falso come le promesse di aiuti che non sono mai arrivati. Non abbiamo mai messo i remi in barca, mai lasciato le cose al caso. Ci avete chiesto di ridurre i coperti, lo abbiamo fatto. Ci avete chiesto di adottare tutti i presidi possibili e lo abbiamo fatto. Ci avete chiesto di ricominciare a pagare tutte le tasse a settembre e lo abbiamo fatto. Cosa potevamo fare di più?

Io, in particolare, non ho mai permesso che il mio lavoro finisse dentro le quattro mura di Santo Palato, ma mi sono sempre adoperata affinché il lavoro stesso fosse di tipo “trasversale”.

Io ci sono sempre stata, eppure la mia è un’attività per le persone con le persone. In questi mesi le istituzion dov’erano? Oggi, più di ieri, alla seconda enorme sfida che ci si pone davanti agli occhi, la stanchezza è tanta, e dopo una giornata intera passata al telefono per capire come agire e in che direzione andare, voglio ribadire che al mondo si nasce soli e si muore soli. Come soli siamo tutti noi, ora”.

“A me non scendono le lacrime – scrive Giuseppe Iannotti del Kresios, una stella Michelin a Telese Terme – Io in situazioni del genere resto in silenzio (che è peggio), non sono in grado di discernere quello che è giusto o quello che è sbagliato, perché potrei essere tacciato come quello che lo fa per i suoi interessi personali. E ne avrei cose da dire. Ci vuole coscienza ed etica!

Siamo Sanniti nati nelle difficoltà, non abbiamo mai lasciato un millimetro di terreno a nessuno. È follia, coraggio, incoscienza in un articolo ormai vetusto, attribuiti che mi sono stati cuciti addosso che fin ad allora non ci avevo pensato, a tal punto da dire forse è vero. Ho già vissuto una pandemia, si perché per me questa si classifica come seconda, non sono andato in vacanza, non ho ricevuto sostegni se non quelli della cassa integrazione, cercando di onorare e di far sentire gli ospiti che hanno deciso di farci visita ancora di più in sicurezza. Ora è il momento del silenzio e della concentrazione, apprezzo i tanti commenti degli amici che hanno speso del tempo a commentare, ma se non ci siamo mai fatti ascoltare, ci ascolteranno ora?

Lascio le tastiere per concentrarmi per la mela conservata per quando doveva venire la carestia d’acqua, lascio la tastiera per non uscire di testa e per fare quello che mi è permesso fare, e se smetteranno anche di farmi fare ciò, farò quello che ho sempre fatto: sognare e costruire! Non è tempo di discussioni. Lo faccio per me, per la mia famiglia, lo faccio per i miei ragazzi ai quali un capo non deve mai mostrare la preoccupazione, mai la debolezza, non per L’austerità, ma perché la differenza sta tutta li, sta tutta nei ruoli. Il mondo è pieno di leoni da tastiera, non so zappare negli orti degli altri, provo almeno nel mio! Per chi vuole ci trova a pranzo, senza stress con il desiderio di passare delle ore in massima sicurezza, al di sopra delle prescrizioni. Se non ne avete voglia vi raggiungiamo a casa con 8pus.

Massimiliano Mascia, due stelle Michelin del San Domenico di Imola, insiste sugli interventi fatti in questi mesi per garantire la sicurezza: “Noi ci siamo adeguati, abbiamo investito, distanziato, rispettato le misure. Il problema non siamo noi ma le scuole e il trasporto pubblico. Sono le resse degli studenti all’ingresso e all’uscita delle scuole, gli autobus pieni: non è stato fatto niente dal pubblico mentre da noi privati si. Oggi mi ha chiamato una famiglia di sette persone, loro vivono insieme ma dovremo metterli in un tavolo da quattro e uno da tre. Un disagio, però se si riesce a lavorare può andar bene anche così. Diverso è se ci impediscono di lavorare. Per i ristoranti la cena è fondamentale, si vive con le cene. Chi vive con il pranzo lo fa grazie ai business lunch, che con la diffusione dello smart working, però, non ci sono praticamente più. Quindi se ci dicono di chiudere alle 18 e come imporci di chiudere”.

Stessa lunghezza d’onda per i JRE d’Italia: “Siamo molto amareggiati, ci sentiamo colpiti profondamente ma assolutamente non colpevoli, dobbiamo pagare per negligenze altrui. Fin da subito ci siamo impegnati per rispettare le regole e adeguarci a tutte le norme di sicurezza e distanziamento legate alla salute. Questo anche a fronte di importanti investimenti, nonostante il durissimo colpo ricevuto. Ecco perché i ristoranti e tutte le attività che rispettano queste regole hanno il diritto di essere messe in condizione di lavorare. Il problema non siamo noi, non possiamo essere sempre il capro espiatorio di questa situazione. La chiusura alle 18 impedisce a noi ristoratori di lavorare. Chiudere alle 18 significa chiudere completamente. E se questo è ciò che siamo costretti a fare, allora è imprescindibile la necessità di un sostegno come è accaduto in altri Paesi”.

“Per il nostro settore sarà una vera e propria condanna a morte – ha dichiarato Antonello Magistà del ristorante Pashà di Conversano e cordinatore provinciale FIEPET – Insistere ancora una volta nell’individuare la ristorazione come responsabile dell’aumento dei contagi è il risultato di una visione distorta della realtà.

Non prendersi la responsabilità di una chiusura totale, pensando che regolamentare le attività di ristorazione con orari e regole inaccettabili, e messaggi scaccia clienti con continui inviti a non frequentare gli stessi, sono colpi mortali al nostro settore, trattasi di vera e propria miopia verso le reali dinamiche della vita socio-economica del nostro paese.

Le aperture parziali sono ancora più dannose e non vorrei fossero misure mirate a non elargire i giusti aiuti agli esercenti. È triste assistere ancora una volta ad una generalizzazione delle attività di ristorazione, così come si sta diversificando l’organizzazione scolastica tra lezioni in presenza e a distanza, si sarebbe potuto regolare un settore che comprende molteplici tipologie tra cui alcune sicure ed altre meno. In questo modo assisteremo purtroppo al diffondersi di altre patologie che mineranno vite umane e commerciali. A tutt’oggi voli aerei gestiti dalla nostra compagnia di bandiera sono occupati in ogni ordine di posto senza rispettare distanze che nelle nostre attività rispettiamo in maniera scrupolosa da ormai cinque mesi”.

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